Le lombalgie e le lombo-sciatalgie sono nella gran parte dei casi dominabili nella fase acuta sia con i farmaci che con un intervento diretto, qualora vi sia l’indicazione, come quello praticato dalla moderna Medicina Manuale. Questa in Italia è attualmente basata sull’ esame clinico descritto da R. Maigne (1), esame codificato che permette di individuare la sede vertebrale di origine del dolore lombare e sciatico e i territori periferici cutanei, tendinei, periostei e muscolari ove può realizzarsi un dolore riferito.
Un grave problema sono invece i casi di dolore persistente o cronico, che rappresentano l’8-10% delle forme acute, unitamente ai casi di anziani con patologie vertebrali multiple e pazienti con “Failed Back Surgery“, in genere difficili da trattare con gli esercizi, che possono provocare il riacutizzarsi del dolore. Nel trattamento riabilitativo con esercizi di tutti questi pazienti manca poi un razionale condiviso e validato di applicazione e supportato da attuali conoscenze di neurofisiologia che lo giustifichino.
In questi ultimi anni sono stati sviluppati da parte di un gruppo di studiosi dell’Università di Brisbane (Queensland, Australia) importanti studi clinici, strumentali e sperimentali con modelli animali (2). Da questi studi sono emersi alcuni fondamentali concetti sulle caratteristiche e sulle funzioni dei muscoli paravertebrali e sul loro controllo neuromotorio, che hanno permesso di intraprendere una nuova via di approccio al dolore cronico di origine lombare, un metodo razionale, scientifico ed efficace di trattarlo.
Per comprendere la dinamica dell’articolazione intervertebrale è necessario riferirsi al modello descritto da Panjabi (3,4). Secondo questo Autore, la stabilità e la funzione del rachide in toto e della singola articolazione tra due vertebre, il Segmento Mobile Vertebrale di Junghans, sono configurabili come un sistema costituito da tre sotto-sistemi: il controllo neuromotorio, i muscoli o sotto-sistema attivo e i legamenti o sotto-sistema passivo. Affinchè l’articolazione sia stabile, i suoi movimenti devono avvenire per opera dei muscoli, in base a un programma neuromotorio corretto, all’interno della contenzione assicurata dal terzo elemento, i legamenti, cioè entro dei limiti che Panjabi definisce “zona neutrale”. Quando questa barriera viene superata per traumi, ripetuti microtraumi, alterazioni strutturali delle vertebre, o semplicemente per una alterazione del comando neuromotorio dei muscoli erettori del rachide, può insorgere il dolore e, col persistere del disturbo, instaurarsi un cedimento delle strutture di contenimento e quindi una vera instabilità vertebrale. Questa disfunzione dolorosa (Painful Spinal Dysfunction ) a sua volta può determinare ulteriori alterazioni del controllo neuromotorio, della forza muscolare e, col tempo, anche della struttura stessa del tessuto muscolare. M. Adams e N. Bogduk (5) sottolineano che per provocare il dolore lombare non sono necessari pesanti carichi meccanici, bastano limitate forze concentrate in una piccola area di tessuto vertebrale sano, come risultato di una inappropriata attività muscolare.
E’ noto che le funzioni fondamentali del rachide sono di mantenere la stazione eretta, di muoversi sotto l’azione della forza di gravità e di proteggere il midollo spinale. Da qui la necessità di essere contemporaneamente rigido e flessibile. Secondo una classificazione proposta da Bergmark (6), a livello lombare queste funzioni sono svolte da due grandi sistemi muscolari: il sistema locale più profondo, che agisce in modo in gran parte automatico, sulla base delle informazioni propriocettive, vero responsabile della stabilità segmentaria del rachide; e il sistema globale, responsabile dei movimenti volontari e della gestione dei carichi che la colonna deve sopportare, onde non siano lesivi per le strutture vertebrali e per i muscoli del sistema locale. Il sistema globale da solo non può assicurare la stabilità, anzi può interferire e ostacolare l’azione stabilizzante del sistema locale, come non possono assicurarla le strutture osteo-legamentose. Questo può avvenire, per esempio,con la co-contrazione del grande dorsale e dello psoas, che si inseriscono sul rachide, evento rilevato in modo più frequente nei lombalgici, o anche per l’ipertono dei muscoli erettori più superficiali.
Il sistema locale comprende la parte lombare del lunghissimo del torace e dell’ileocostale, il multifido, che appartiene al trasversario spinoso ed è segmentario, e la parte mediale del quadrato dei lombi. I muscoli intertrasversari e interspinosi del primo strato, più corti, esplicano più un ruolo propriocettivo che non stabilizzante. Un ruolo estremamente importante nel sistema locale gioca il trasverso dell’addome, e forse una piccola parte dell’obliquo interno.
Il sistema globale comprende, sempre a livello lombare, la parte più superficiale del lunghissimo del torace e dell’ileocostale, le fibre laterali del quadrato dei lombi, il retto dell’addome e gli obliqui esterno e interno. Il grande dorsale e lo psoas si inseriscono più superficialmente al rachide, ma si possono considerare muscoli rispettivamente della spalla e dell’anca.
Diversi studi elettromiografici hanno dimostrato che un ruolo fondamentale nella stabilizzazione del rachide è svolto dal muscolo trasverso dell’addome, che si co-contrae sempre con il multifido e che si può quindi considerare, con questo, il protagonista della stabilità lombare (7). Anche qui è dimostrato che un ipertono dei muscoli addominali più superficiali, che sono deputati ai movimenti tronco- bacino e fanno parte del sistema globale, può ostacolare l’azione del trasverso, e quindi del sistema locale lombare.
Nei pazienti con lombalgia sono state dimostrate alterazioni delle dimensioni e della composizione dei tessuti a carico del multifido, studiato con risonanza magnetica, nonché dell’attivazione muscolare e dell’affaticamento studiati con EMG e metodi meccanici (8). Anche il muscolo trasverso dell’addome mostra, nei pazienti con lombalgia, evidenti ritardi di attivazione, durante alcuni movimenti degli arti: sembra quindi che l’alterazione riguardi il controllo neuromotorio, piuttosto che la potenza o la resistenza del muscolo (9).
La conclusione dei numerosi studi, la scoperta fondamentale del gruppo di Brisbane, è stata che la disfunzione muscolare nella lombalgia è sopratutto un problema di controllo neuro-motorio dei muscoli profondi deputati alla stabilizzazione articolare segmentaria, in particolare il multifido e, tra gli addominali, il trasverso dell’addome, (10,11).
Questa constatazione ha indotto gli Autori a ricercare nuovi modelli rieducativi che potessero esercitare questi due muscoli. Lo scopo dell’esercizio da loro proposto è quello di contrarre volontariamente il trasverso, che si co-contrae sempre col multifido, tenendo i muscoli del sistema globale rilasciati e il rachide immobile.
Considerato che sia il trasverso sia ancor di più il multifido sono difficili da esercitare in modo selettivo, cioè senza coinvolgere altri muscoli, specie quelli del sistema globale, abbiamo utilizzato, negli esercizi rieducativi, strumenti che consentissero una rapida presa di coscienza della loro contrazione. E’ necessario infatti sia rendere evidente e automatizzare la contrazione del trasverso, sia non coinvolgere nella contrazione i muscoli del sistema globale, che devono essere rilasciati, (10). Nella fase sperimentale degli studi gli Autori di Brisbane hanno utilizzato a questo scopo l’ecotomografia del trasverso, con proiezione su grande schermo durante la contrazione, onde si realizzasse il feedback paziente-immagini.
Noi abbiamo trovato più semplice ed efficiente impiegare il Biofeedback EMG di superficie (figura 1) di cui avevamo già lunga esperienza. Il Biofeedback o retroazione biologica è un metodo che, trasformando il rilevamento continuo di eventi biologici in segnali visivi o acustici e quindi coscientizzandolo, permette d’instaurare un controllo volontario in tempo reale sui fenomeni stessi.
I semplici esercizi del trasverso senza controllo EMG erano piuttosto inefficaci e a volte davano origine a reazioni dolorose. Il rilevamento e la misurazione del reclutamento delle unità motorie, che viene tradotto in un segnale visivo o acustico proporzionale ai valori rilevati, sia per gli esercizi del trasverso, sia per il rilasciamento dei muscoli del sistema globale, rende l’apprendimento molto più sicuro, rapido e stabile.
Un secondo strumento necessario, con meccanismo di feedback pressorio, è lo “Stabilizer”(figura 2), consistente in un cuscinetto gonfiabile manualmente, dotato di un manometro, che, posto sotto la regione lombare, permette al paziente di osservare se durante gli esercizi vi siano modifiche dei valori pressori, causati da movimenti del rachide. Lo scopo di tutto ciò è di poter esercitare in modo isometrico il sistema muscolare locale e il trasverso, senza utilizzare il sistema globale, che muove il rachide.
All’ inizio del trattamento viene spiegato al paziente l’uso degli apparecchi, e la possibilità di modificare volontariamente il reclutamento delle unità motorie in tempo reale.
Seguono quindi l’allenamento a contrarre il trasverso e a rilasciare contemporaneamente gli erettori superficiali, la parte più superficiale del lunghissimo e dell’ileocostale, sia in decubito supino, che in stazione seduta ed eretta. Si inseriscono poi esercizi con carichi crescenti sul rachide, utilizzando in posizione supina i movimenti degli arti superiori e inferiori e in seguito le attività della vita quotidiana. Sono necessarie attualmente da 3 a 6 sedute, 1 o 2 volte la settimana, una prima seduta di richiamo dopo 20 giorni, poi 1 o 2 sedute dopo 1-2 mesi. L’esercizio, che richiede una certa attenzione, si è rivelato semplice e facilmente ripetibile.
E’ necessario che il paziente si eserciti giornalmente ripetendo gli esercizi due o tre volte al giorno per 5-10 minuti, in modo da mantenere sempre pronta la funzione stabilizzante del sistema locale. Come avviene per altri tipi di Biofeedback, nel giro di circa tre mesi, la contrazione del trasverso e degli altri muscoli del Sistema locale si automatizza durante l’attività della vita quotidiana.
A domicilio non è più necessario l’uso degli apparecchi, ma in caso di difficoltà a mantenere il rachide quasi immobile, si può consigliare l’uso dello Stabilizer, facilmente reperibile a un prezzo minimo.
Due studi retrospettivi in semplice cieco, da noi portati a termine, (12,13) si sono proposti di valutare preliminarmente l’efficienza e l’efficacia di questo metodo. I risultati sono stati incoraggianti in ambedue gli studi, sia per il dolore che per la disabilità. Non vi sono stati eventi negativi.
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BIBLIOGRAFIA:
- Maigne R. Douleurs d’origine vértebrale. Issy-les-Moulineaux: Elsevier Masson; 2006
- Richardson C, Hodges P, Hides J. Therapeutic Exercise for Lumbopelvic Stabilization.2nd edition, Edinburgh: Churchill Livingstone; 2004
3) Panjabi MM. The stabilizing system of the spine. Part I. Function, dysfunction, adaptation, and enhancement.Journal of Spinal Disorders 1992;5:383-389
4) Panjabi MM. The stabilizing system of the spine. Part II. Neutral zone and instability hypothesis. Journal of Spinal Disorders 1992;5:390-397
5) Bergmark A. Stability of the lumbar spine. A study in mechanical engineering. Acta Orthopedica Scandinavica1989; 230(suppl):20-24
6) Adams M, Bogduk N, Burton K, Dolan P. The biomechanics of back pain. Edinburgh: Churchill Livingston; 2002.
7) Sihvonen T, Partanen J, Hanninen 0, Soimakallio S. Electric behaviour of low back muscles during lumbar pelvic rhythm in low back pain patients and healthy controls. Archives of Physical Medicine and Rehabilitation 1991;72:1080-1087
8) Cresswell AG, Grundstom A, Thorstensson A. Observation on intra-abdominal
pressure and patterns of intra-muscular activity in man. Acta Physiologica Scandinavica 1992a;144:409-418
9) Cresswell A G, Oddsson L, Thorstensson A. The influence of sudden perturbations on trunk muscle activity and intra-abdominal pressure while standing. Experimental Brain Research 1994;98:336-341
10) Hodges PW, Richardson, CA. Feedforward contraction of transversus abdominis is not influenced by the direction of arm movement. Experimental Brain Research 1997;114:362-370
11) Hides J A, Stokes M J, Saide M, Jull G A, Cooper D H. Evidence of lumbar multifidus muscle wasting ipsilateral to symptoms in patients with acute/subacute low back pain.Spine 1994;19:165-172
12) Brugnoni G. Stabilizzazione spinale con due biofeedback : un nuovo trattamento riabilitativo della lombalgia. Giornale Italiano di Medicina Riabilitativa 2012 ; 26 : 6-7
13) Brugnoni G, Biella E, Ioppolo F. Low back pain and sciatica : lumbar stabilization versus
autotraction treatment. A retrospective single-blind study. Proceeding of the 42° National
Congress S.I.M.F.E.R. Torino: Minerva Medica, 2014:33-37
Figura 1: Elettromiografo di superficie per biofeedback.

Figura 2: Apparecchio “Stabilizer” per biofeedback pressorio.
